The Last of Us: la sopravvivenza non è un gioco per bambini

Osannato dalla critica e dal pubblico, The Last of Us è stato uno dei videogiochi più premiati degli ultimi anni. Dalla sua uscita, avvenuta a giugno 2013 in esclusiva per PlayStation 3, ha praticamente catalizzato l’attenzione solo su di sé. Nemmeno l’arrivo del campione di incassi Grand Theft Auto V è riuscito a spegnere l’entusiasmo verso l’opera realizzata dai ragazzi di Naughty Dog, già autori dell’acclamata serie Uncharted. Recentemente, The Last of Us è tornato alla ribalta grazie all’uscita del DLC Left Behind (un contenuto acquistabile in aggiunta al gioco principale), approdato sul negozio digitale PlayStation (PlayStation Store) il 14 febbraio, proprio il giorno di San Valentino. L’ultimo tassello che ha chiuso definitivamente la storia del titolo. Ma quali sono stati gli elementi che hanno decretato questo successo planetario? Indubbiamente, a spiccare in The Last of Us vi è una solida componente ludica ben coesa all’ottima narrazione, una direzione tecnica di forte impatto e una trama che si appoggia a dei personaggi incredibilmente vivi e credibili.

Gli ultimi di noi

The Last of Us racconta la storia di Joel ed Ellie. Lui, un padre che si è visto sfumare l’intera vita davanti agli occhi in un circolo che lo ha portato all’apatia; lei, quattordicenne che non ha mai avuto occasione di vivere un’esistenza normale. The Last of Us è infatti ambientato in un mondo dove un fungo parassita, il Cordyceps (esemplare realmente esistente), è in qualche modo riuscito a contagiare gli essere umani, trasformandoli in infetti rabbiosi. Animali mostruosi con l’unico scopo di uccidere o infettare il prossimo. Solo pochi sopravvissuti sono riusciti a ricominciare, a rifarsi una vita dopo lo scoppio dell’epidemia. Ma in fondo, la pandemia non è importante. The Last of Us non si sofferma su questo aspetto, bensì ne sfrutta il contesto per costruirci attorno una storia incentrata sui rapporti umani. Le cause dell’infezione, gli infetti stessi, rimangono sullo sfondo. Questo può restituire quasi una sensazione di incompiutezza, ma semplicemente Naughty Dog puntava a raccontare altro, calando il fruitore nell’universo di gioco senza dargli troppe spiegazioni. Dopo un intensissimo e toccante prologo, infatti, The Last of Us si prende il suo spazio per presentare al giocatore il suo alter-ego, Joel, e porre le basi della premessa narrativa: il viaggio, letterale e metaforico (interiore ed emotivo) del burbero uomo e della spavalda Ellie, piombata per caso nella sua vita.

È un’avventura dall’incedere lento, alle volte quasi diluito. A tratti pesante come l’atmosfera cupa e brutale che pervade ogni minuto di gioco. Sia ludicamente, sia narrativamente, la prima parte di The Last of Us (prologo escluso) fatica a ingranare. Da un lato, le meccaniche della giocabilità devono ancora essere metabolizzate e svelate nella loro piena potenzialità, dall’altro la storia appare priva di mordente, salvo risollevarsi verso la fine. L’intreccio di The Last of Us è in buona parte un concentrato di cliché. Non c’è niente di originale, niente che non si sia già visto in altri lidi, videogiochi, film o libri che siano. Per giunta, i risvolti si rivelano spesso prevedibili. Parallelamente, anche il gameplay soffre un po’ questa “schematicità”: è tutto fin troppo scandito e molto di rado ci si sente in pericolo nelle fasi più calme ed esplorative. Eppure, non si può negare che nel suo insieme The Last of Us sia un mix che funziona dannatamente bene. È vero: la storia non è innovativa ed è prevedibile, ma è narrata divinamente. Dialoghi, regia, evoluzione e rapporto tra personaggi, recitazione digitale, è in questi aspetti che Naughty Dog dimostra la sua assoluta maestria. Si rimane così coinvolti dall’incedere che, si, poteva essere decisamente più coraggioso, ma a conti fatti si fregia di una sceneggiatura a cui non si può imputare poi molto. Per quanto poco originale e priva di veri colpi di scena, ogni situazione (o quasi) regge e viene resa credibile dalle capacità ludo-registiche del team. Ellie e Joel sono probabilmente tra i personaggi virtuali più veri che il mondo videoludico abbia mai visto.

Semplice, ma profondo

Nella sua semplicità, The Last of Us riesce a dimostrarsi un titolo estremamente maturo. I primi istanti di gioco mettono immediatamente in chiaro la crudezza e il generale pessimismo della storia. Joel è una persona estremamente sofferente e ormai cinica; solo piano piano il suo scudo emotivo viene scalfito. Perché The Last of Us è una storia di sofferenza e di brutalità. La violenza è presente sin da subito, ma non è mai fuori luogo o fine a se stessa. Anzi, rafforza la giocabilità (mai come ora gli scontri sono fisici, ogni colpo inferto, ogni proiettile sparato è pesante, sentito; agire con leggerezza e senza pensare equivale a morte certa) e rafforza il tessuto narrativo, mostrando efficacemente un mondo dove vigono ormai poche regole, dove sopravvive il più forte, dove non c’è spazio per la pietà, dove gli uomini sono più pericolosi dei mostri. I veri abomini, infatti, sono proprio le persone. In una condizione al limite della sopravvivenza, il castello di carta della società crolla e ciò che rimane è un semplice dogma: “uccidi per non essere ucciso, uccidi per sopravvivere”. L’impassibile e rude Joel, ormai spezzato da un dolore interminabile e carico di odio e rabbia, è il primo a seguire questa regola. E il giocatore con lui: infetti o persone vanno in qualche modo eliminati, che sia di soppiatto o in un ben più pericoloso scontro diretto armati di fucili, pistole o tubi di ferro con cui fracassare il cranio di qualche malcapitato. Certo, affidarsi alla furtività, magari per evitare (quando possibile) di uccidere, è un’altra tattica attuabile. In fondo, The Last of Us spinge a comportarsi come si farebbe nella vita reale in una situazione così estrema, cercando anche di distrarre le minacce lanciando bottiglie o mattoni in punti strategici delle location. Ogni errore ricorda che l’avventatezza è il primo nemico.

Nonostante questa situazione, in Ellie, invece, si percepisce in parte lo spensierato animo fanciullesco (il DLC Left Behind è in questo senso perfetto), l’esuberanza tipica dell’adolescenza, la voglia e la curiosità di scoprire il mondo. Ma prima che il viaggio si concluda, ciascuno avrà modo di apprendere dall’altro, in un crescendo che da il meglio di sé nelle ultime travolgenti ore, culminando in un epilogo forse intuibile, ma non per questo scontato o banale. Malgrado all’apparenza monco, il finale di The Last of Us è probabilmente la perfetta conclusione della storia di Joel ed Ellie: coerente, dal retrogusto aspro e finalmente capace di distaccarsi dai soliti stereotipi tipici del genere.

Un’opera di spessore

Tutti i bimbi a nanna. The Last of Us è un’opera adulta, profonda, matura, emozionante. È un peccato che alcune ingenuità nella narrativa e nella giocabilità (dalla schematicità e ripetitività di fondo ad alcuni difetti dell’intelligenza artificiale, soprattutto dei compagni di viaggio) “rovinino” in parte il risultato finale. Un pizzico di coraggio in più in alcuni aspetti non sarebbe guastato. Anche così, però, Naughty Dog ha sfornato un’avventura memorabile. La componente ludica fa il suo dovere per coesistere con la storia, in una unione che porta beneficio a entrambe le parti, ma facendosi carico di un ritmo spesso “blando” che potrebbe non piacere a tutti. Non c’è un’azione spettacolarizzata o frenetica, nulla di innovativo od originale. The Last of Us prova a essere realistico senza, tuttavia, rinunciare all’impronta cinematografica, mostrandosi al contempo semplice, modesto, un po’ come la vita, non per forza di cose imprevedibile o fuori dagli schemi. A colpire, infatti, non è tanto la trama, bensì la gran classe con cui viene narrata: i dialoghi non sono mai banali, la regia dei filmati e in-game è straordinaria, la recitazione digitale stupefacente e potentissima, il doppiaggio (originale e in italiano) superbo, la colonna sonora (firmata da Gustavo Santaolalla) estremamente efficiente; malgrado minimale e talvolta lasciata un po’ in disparte. Alcuni momenti rimangono impressi proprio per il modo incredibilmente filmico, coinvolgente, credibile e a volte crudo con cui vengono presentati. Inoltre, il recente contenuto rilasciato, il prequel Left Behind, va inserirsi perfettamente nel contesto narrativo, arricchendo la personalità di Ellie. Non si può, poi, non plaudire il finale, che chiude con assoluta intelligenza la vicenda. Con una amara, ma dolce bugia…

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