Il Recovery Fund (tralasciamo l’appendice della nuova generazione UE) verrà finanziato con l’emissione di titoli dell’Unione. Mai prima si era avuto un’emissione di titoli “garantiti” dall’UE.

Chiediamoci quale sia questa garanzia.
Come tutte le emissioni di titoli di debito la garanzia è data dalla capacità dell’emittente (UE) di pagare gli interessi descritti nel titolo ed alla scadenza (maturity) di rimborsare il capitale investito.
Fra le due, quella che interessa maggiormente il risparmiatore/investitore (per lo speculatore il discorso è molto diverso) è sicuramente la prima perché è ravvicinata nel tempo, ripetuta nel corso della vita del titolo ed è indice se l’emittente è in grado di far fronte agli impegni stabiliti e descritti nel titolo.
Per l’emittente, ente pubblico (tralasciamo l’emittente privato), la possibilità di tenere fede al pagamento degli interessi deriva dalla sua capacità impositiva.
Lo Stato sovrano e l’UE da questo punto di vista non differiscono nel sistema di funzionamento. Lo Stato sovrano impone e raccoglie le imposte e tasse dai suoi cittadini, così dovrà fare l’UE.
Esistono attualmente “tasse europee”? No, proprio per questo nell’accordo sul Recovery Fund è previsto un sistema di “nuove entrate proprie” dell’UE che detto in un lessico per comuni mortali sono nuove tasse europee in aggiunta di quelle domestiche.
Vediamo ora l’effetto dannoso dei titoli UE sui titoli di Stato italiani.
Per capire questo occorre dare uno sguardo al grafico che propongo.
Notiamo subito nel riquadro in azzurro scuro che nel periodo dal 1989 al 2000 il rating, cioè l’apprezzamento del mercato dei titoli a livello internazionale ( S&P), in 20 anni è sceso (downgrade) da AA+ a AA.
Nei successivi venti anni il downgrade è passato da AA a BBB ( significa ) siamo al limite di “junk bond” cioè ai famosi “titoli spazzatura” i più rischiosi e meno affidabili.
Propongo una riflessione incidentale prima di proseguire: che è successo di così drammatico da cambiare radicalmente e profondamente il rating dei titoli di stato italiani a partire dall’anno 2000? Occorre rispondere a questa domanda prima di proseguire.
Fatto? Andiamo avanti.
Quando l’UE emetterà i suoi titoli di debito, giocoforza, il mercato assegnerà un rating (indice di gradimento ) di AAA, quindi il risparmiatore/investitore italiano avrà da scegliere fra due titoli quelli di stato italiani e quelli dell’UE.
Concluderà la sua scelta esaminando il tasso di interesse e sicuramente il rating.
Se il tasso di interesse nominale espresso dal titolo di stato italiano NON sarà attraente cioè sensibilmente più alto del titolo UE tanto da invogliarne l’acquisto, a parità di rendimento sceglierà il titolo UE perché più sicuro.
Credo sia evidente che i titoli UE saranno in diretta concorrenza con i titoli di stato italiani e che spingeranno ad un incremento del tasso di interesse per i titoli italiani.
Questo ovviamente avrà riflesso sullo spread con diretto effetto sul rating che essendo ad un passo dal junk bond probabilmente creerà non pochi problemi al Ministero del Tesoro.
Oltre a questo con un incremento dell’interesse avremo, per quanto detto sopra, un presumibile aumento della pressione fiscale domestica.
Purtroppo non è finita.
Vediamo ora lo scenario in caso di default (fallimento del sistema Italia).
I titoli emessi dall’UE sono titoli privilegiati, ciò significa che in caso di fallimento dell’Azienda Italia dovranno essere rimborsati PRIMA di ogni altro titolo di stato del Belpaese creando un profondo solco fra i risparmiatori/investitori in titoli di stato italiani e UE.
Di quanto sopra non ho visto nota nei mass media.
Una sola soluzione è possibile dal mio punto di vista ITALEXIT – EUROEXIT.

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