Quello che non è stato detto

Quando ci si iscrive all’Università con l’intenzione di rendere la Comunicazione predominante nella propria vita, nei primi giorni si scopre l’importanza di tutto quello che non si considerava, o che non si pensava fosse così rilevante, attraverso gli assiomi della comunicazione.

Se poi ci si avvicina alla Comunicazione attraverso la Sociologia, come è capitato a me, si finisce per interpretare gli eventi con un filtro diverso, che permette spesso di vedere le reazioni delle persone come risposte a messaggi ricevuti.

Per questi motivi credo fortemente che le reazioni, terribili, che ci sono state alla liberazione di Silvia Romano siano la conseguenza di una totale mancanza di capacità di comunicare da parte del Governo.

E’ palesemente mancato un esperto che scegliesse il momento per fare uscire la notizia. E’ comprensibile, ma non giustificabile, che si sia solo pensato al dare una “notizia buona”, in un momento di perdurata negatività.

Ma, onestamente, del sequestro della ragazza si era già scordata la maggior parte delle persone – comprese quelle che ora la chiamano Aisha.

Quindi si poteva, doveva, tranquillamente aspettare. Non era una notizia attesa, si aveva tutto il tempo per studiare la situazione e costruire il messaggio in modo adeguato per evitare gli errori. Ma questo si fa solo se si da valore alla comunicazione. (Questo, ahimè, Berlusconi lo sapeva benissimo).

In ordine gli errori sono stati molti, ma senza annoiare, velocemente…se non fosse stato pubblicato subito il tweet da parte di Conte (che poi è stato addirittura modificato per ringraziare non più l’ Intelligence interna ma quella esterna) si sarebbe potuto, se non relazionarsi con la ragazza e indicarle alcune linee guida sull’atteggiamento da tenere, almeno evitare l’utilizzo di immagini così errate da parte della stampa.

Mi spiego meglio: Silvia Romano non doveva ridere. Magari sorridere, leggermente, poco, ma non così tanto.

Al netto di chi affronta le delicate questioni socio politiche che il pagamento del riscatto porta con sé, per gli altri (in realtà) il problema non è il velo che copre, ma quello che lascia scoperto. Il sorriso, così grande, così felice. E nella testa di chi osserva si scatena un contrasto rispetto all’immaginario del sequestro a cui si è abituati (basti pensare alle immagini di Aldo Moro). “Ma come? Stava bene in realtà?”. E’ questo quello che la foto comunica e non c’è didascalia, articolo, parola che possa contraddire questo messaggio che si infila nella mente dello spettatore/lettore. E’ il virus della delusione, quando l’immagine (il messaggio) delude anche la reazione diventa deludente. Non si tratta di giustificare le parole terribili che sono state rivolte alla Romano, ma di comprenderne la genesi.

La prima immagine avrebbe dovuto essere quella dell’abbraccio con la madre. E allora il lettore avrebbe visto due occhi commossi della ragazza, contornati da un velo – “che chissà cosa le hanno fatto per farglielo indossare, poverina” – e una madre con una ricrescita ai capelli che non è quella della quarantena, ma quella di una donna esausta che un anno e mezzo fa ha perso ogni motivo per farsi la tinta.

E allora le reazioni sarebbero state diverse. Ne sono sicura. I soldi del riscatto sarebbero valsi l’emozione. Le questioni politiche sarebbero state per pochi, come la rabbia.
Non è fingere per pilotare le emozioni lo scopo, ma identificare propriamente delle variabili indispensabili per una corretta comunicazione: codice, messaggio, mittente, destinatario, canale e contesto. Perché se è vero che “è impossibile non comunicare” è anche vero, però, che è possibile non farlo così male.

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