Un Anniversario per un Battesimo

L’11 novembre di nove anni fa si spegneva in un ospedale militare di Parigi Yasser Arafat, uno dei protagonisti del secolo scorso. Avevo diciotto anni e ricordo bene la commozione di quel momento. La morte del leader palestinese arrivava dopo che gli ultimi mesi della sua vita lo avevano visto prima assediato nella sua residenza a Ramallah sotto il tiro dei carri armati israeliani, poi politicamente indebolito dai suoi stessi compagni di una vita e infine malato. Quello che mi aveva colpito fin da bambino di quell’uomo che portava sempre quel copricapo strano, era il suo sorriso. Un sorriso che mostrava fisso negli incontri internazionali, ma che era sparito nell’ultimo periodo quando riceveva a lume di candela ospiti e delegazioni illustri nel suo quartier generale, di fatto prigioniero delle truppe del nemico di sempre, il falco Ariel Sharon. Strano il destino: nove anni fa Arafat moriva probabilmente avvelenato e meno di diciotto mesi dopo un’emorragia cerebrale lasciava il suo antagonista in uno stato vegetativo che tuttora persiste. La storia del conflitto israelo-palestinese è lunga e complessa, ma come tutte le vicende importanti degli anni della guerra fredda è stata fortemente ideologizzata. Se stavi con l’occidente dovevi stare con Israele, se simpatizzavi per il mondo comunista dovevi stare con i palestinesi. E naturalmente ogni azione violenta dell’una o dell’altra parte veniva giustificata con tutti i se ed i ma del caso. La simpatia che la figura di Arafat mi ha sempre suscitato può quindi sembrare strana a chi mi conosce, sapendo quanto io sia saldamente ancorato ai valori e agli ideali liberal-conservatori (anche se questa posizione ricorda quella andreottiana di forte amicizia con gli Stati Uniti ma anche con gli arabi). Credo che il mio ricordo di questo personaggio possa proprio per queste ragioni essere la giusta occasione per inaugurare questo spazio di libera opinione. Perché se non sono convinto che il tempo delle ideologie sia finito, spero sia archiviata la stagione in cui si difende non il proprio pensiero, ma quello del proprio schieramento a tutti i costi.

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