Carne da demolizione

1938053_10203300720663154_953837342_nOggi voglio parlarvi di un romanzo innovativo e particolarissimo,  “Carne da demolizione”, il libro d’esordio di Fabio Forma, giovane autore nato a Nuoro, classe 1986.

Un’opera  “sui generis”, infatti non mi è mai capitato di leggere nulla di simile prima d’ora:  è un libro che esula dal contesto commerciale,  la trama differisce da quelle cui siamo abituati,  potrei definirlo un incrocio tra il romanzo verista e quello di formazione.  Il termine Verismo designa una letteratura che si accosta al “vero” nella sua nuda e semplice evidenza. Nelle opere veriste non vengono proposti modelli di comportamento da imitare, così come avviene in questo romanzo. L’autore non prende posizione, nè esprime mai opinioni personali o giudizi critici, nemmeno quando descrive, con crudo realismo, il lavoro quotidiano nel frigomacello dove è stato assunto come operaio generico. Starà quindi al lettore fermarsi a riflettere e trarre le proprie conclusioni.   La prosa, intessuta di dialoghi, fa uso di dialettismi, indispensabili per caratterizzare alcuni dei personaggi abilmente tratteggiati dalla penna di Forma.

La storia è ambientata nell’ entroterra sardo, ed è narrata in prima persona dalla voce di Fabio, alter ego letterario dell’autore.  Il giovane, reduce da tre anni di università a Milano, torna a casa, nella sua Sardegna, per lavorare al macello di famiglia, gestito dal padre e da un socio. I familiari nutrono grandi aspettative nei suoi confronti, confidano che Fabio erediti il mestiere, crudo ma redditizio, e che un domani possa continuare l’attività.  In realtà, il passaggio dall’ ovattato mondo degli studi al contesto rurale, faticosissimo e a contatto diretto con sangue e sofferenza, si rivelerà a dir poco traumatico per il giovane.

I mesi passano, ma Fabio non si ambienta nel duro mondo del macello. Ciò non solo per la brutalità delle mansioni assegnategli, ma anche per i dispetti che, in quanto figlio di uno dei titolari,  è ben presto costretto a subire dai dipendenti. Il ragazzo si sente fuori posto, disorientato,  a disagio sia con gli operai, che lo guardano con diffidenza, sia con i familiari, che sono insoddisfatti di lui e lo trattano con durezza. Il giovane, inoltre, ha delle curiosità e aspirazioni intellettuali, che nell’ambiente del macello non possono essere soddisfatte. Col passare dei mesi, anziché ambientarsi, sente aumentare rabbia e frustrazione, cova una rivolta interiore, un desiderio di rivendicare la propria autonomia e di poter decidere liberamente del proprio futuro, a costo anche di sbagliare.

.

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *