BioShock Infinite: l’arte fatta videogioco

Il 2013 è stato un anno importante per il popolo di videogiocatori. Da una parte si è assistito all’uscita di molteplici produzioni interessanti, dall’altra, con l’arrivo di PlayStation 4 e Xbox One, si sono aperte definitivamente le danze per la nuova generazione di console. Ci sarebbero quindi tanti argomenti da poter trattare, ma oggi, in questa sede, si è deciso di soffermarsi su un videogioco, un’opera, che a marzo dell’anno appena trascorso ha trasportato milioni di persone in un viaggio artisticamente e narrativamente eccezionale. Un viaggio che prende il nome di BioShock Infinite.

Premessa

Terzo capitolo di una celebre serie di videogiochi, BioShock Infinite sfrutta un genere popolare come quello degli sparatutto in prima persona per far vivere al giocatore un’esperienza assolutamente fuori dall’ordinario. A un occhio superficiale, soprattutto per i meno avvezzi al settore, potrebbe sembrare il classico gioco “ignorante”, dove non si fa altro che imbracciare un fucile e massacrare decine e decine di nemici. Sbagliato! Al di là di una patina dal sapore commerciale, si cela un cuore pulsante di passione, emozione e vera arte. A partire dalla stupefacente ambientazione in cui si sviluppa la sorprendente vicenda: Columbia. Una metropoli che nei primi anni del novecento si erge tra le nuvole, fluttuante nel cielo grazie a una strana e sconosciuta tecnologia. Una città partorita dall’immaginazione e dal talento creativo di Ken Levine e del suo team, che ha costruito una trama estremamente sfaccettata e complessa, visionaria e surreale, appoggiandosi anche a temi incredibilmente reali: politica, razzismo, religione, progresso scientifico e tecnologico, rivoluzione sociale, sfruttamento dei lavoratori. Lo fa con semplicità e naturalezza, per chi ha voglia di andare oltre la superficie delle cose, per chi è in grado di ascoltare a 360 gradi. A scaturire la riflessione può essere un breve discorso di un cittadino di Columbia, una locandina di propaganda affissa a un muro, un “audiodiario” di qualche personaggio o uno dei tanti filmati in perfetto stile retrò che raccontano la storia e la cultura della città e da cui si percepisce un indottrinamento sociale del “governo” ai danni del popolo. Chi pensava che i videogiochi fossero un passatempo frivolo, per bambini o persone non-pensanti, schiave di una console o un PC, avrebbero dovuto ricredersi già da parecchio tempo. Sempre di più, infatti, il medium videoludico acquisisce quella dignità che troppo a lungo gli è stata ingiustamente negata. BioShock Infinite è soltanto uno dei tanti videogame capaci di trattare argomenti maturi e di dimostrarsi una fonte di intrattenimento interessante, al pari di un buon libro o un buon film.

Fatta questa doverosa premessa, non si può negare che anche Infinite subisca le regole del mercato, restituendo talvolta l’impressione di autolimitarsi, onde evitare di scontrarsi con le esigenze commerciali. All’utente medio interessa l’azione, lo spensierato divertimento, la violenza gratuita. Ed ecco così che se in un’opera filmica si propinano allo spettatore scenografici effetti speciali per nascondere la pochezza di contenuti, in un videogioco si punta spesso su grafiche di forte impatto visivo e giocabilità che seguono le tendenze della massa. Considerando la sua natura di prodotto “mainstream“, BioShock Infinite non può essere immune a tutto questo. Nel corso delle sessioni di gioco tale condizione emerge a più riprese, quasi a voler dire “Ehi, c’è anche azione, sparatorie, sangue, ci si diverte”. E se la violenza è indubbiamente giustificata (il personaggio principale non è esattamente uno stinco di santo), la sensazione finale è che, per quanto solida e divertente, la componente ludica vada a cozzare un pochino con il tratto aulico dei temi proposti. Alcune sparatorie finiscono per dimostrarsi fin troppo lunghe, spesso fuori contesto, superflue; non necessarie se non per appagare la voglia di adrenalina dell’utente medio.

Columbia

Ma BioShock Infinite è un titolo coraggioso e nonostante alcune sbavature gli precludano lo status di capolavoro assoluto, non si può che sommergerlo di elogi, vista la sua ammirabile volontà di proporre in continuazione spunti di riflessione. Direzione artistica e tessuto narrativo sono quanto di più ricercato si possa trovare in circolazione. Per capirlo è necessario fare un passo indietro e tornare con la testa tra le nuvole, a Columbia. Si potrebbe analizzare la sua 1660814_10201183684785179_807393595_nnascita e gli avvenimenti a essa legati: dalla ribellione dei Boxer in Cina alla secessione dagli Stati Uniti d’America in seguito a un incidente diplomatico con Washington. Si finirebbe, però, per risultare eccessivamente prolissi, distogliendo l’attenzione dalle questioni più importanti. Ciò che conta è che Columbia è teatro di uno scontro tra due fazioni opposte, ma invero più simili di quanto si possa immaginare. I Vox Populi, la classe emarginata costituita da poveri, operai e gente di colore, è stanca dei soprusi dell’alta società, i ricchi ultraconservatori del Partito dei Fondatori guidati da Padre Zachary Hale Comstock, un fanatico autoproclamatosi nuovo messia. Si assiste così a una guerra interna, che porterà alla luce il peggio di entrambi gli schieramenti: tra il cieco fanatismo religioso e gli ideali ariani dei conservatori alla becera voglia di vendetta dei Vox Populi, la quale sfocerà in una rivoluzione brutale.

Il giocatore che ruolo ha in tutto questo? L’utente vive l’avventura attraverso gli occhi di Booker DeWitt, ex soldato dell’esercito americano ora alcolizzato e indebitato a causa di problemi con il gioco d’azzardo. Ma è una prospettiva limitata. La verità, infatti, è decisamente più impensabile di quanto faccia intendere la banale premessa della storia: “Portaci la ragazza e annulla il debito”. Booker partirà quindi alla volta della celestiale Columbia per “recuperare” una misteriosa ragazzina di nome Elizabeth, rinchiusa fin dalla nascita in una torre e protetta da un guardiano: Songbird, un enorme e indistruttibile uccello meccanico. Subito non c’è tempo di porsi domande, la bellezza della città è trascinante, l’ascesa verso Columbia maestosa. L’amore per l’estetica trasuda da ogni strada e vialetto, mentre il gigantismo delle strutture, la perfetta combinazione di colori e l’accecante luce del Sole sembrano voler convincere il giocatore di aver varcato le porte del paradiso. L’incisiva e stupenda colonna sonora accentua la sensazione di pace e apparente armonia. In questo senso, la sequenza iniziale nella Chiesa è illuminante, mentre in sottofondo una significativa versione corale di “Will The Circle Be Unbroken” penetra nell’animo. L’attenzione al dettaglio è notevole. L’atmosfera irreale. Immersa nel cielo, Columbia è una metropoli autocelebrativa, sfarzosa, compiaciuta di sé, bella nella sua essenza più pura. Ma è uno specchietto per le allodole, che nasconde il marcio, la malattia che la porterà alla rovina. Così come l’indimenticabile Rapture di BioShock, anche Columbia di BioShock Infinite rappresenta un’utopia irrealizzabile. Quella di una società perfetta che, a conti fatti, è sola apparenza. È fumo negli occhi.

Jeremiah Fink

Prima di parlare del vero pezzo forte dell’opera, vale la pena soffermarsi brevemente su uno degli argomenti maggiormente esposti nel corso dell’avventura: lo sfruttamento dei lavoratori. A incarnare questa realtà, così comune in passato (e seppur in maniera ben diversa, anche oggigiorno), è la figura di Jeremiah Fink, cinico e potente industriale proprietario delle omonime fabbriche Fink. Dai comunicati audio, che fanno continue allusione al bestiame (lavoratori/animali), ad aste  in cui si “vende” il lavoro a chi rilancia il minor tempo di esecuzione fino a un grande orologio che mostra la suddivisione della giornata del lavoratore, dove la maggior parte delle fetta è occupata dalla scritta “Work”, tale sfruttamento risulta sempre più evidente e pressante. Una condizione disperata per le persone di colore, ma necessaria: lavorare per sopravvivere.

Sono poi molte le citazioni e le chicche che BioShock Infinite contiene e di cui bisogna dare merito. Una tra tante è la rivisitazione (in forma melodica) della famosa canzone “Girls Just Want To Have Fun” di Cyndi Lauper o la presenza di “Requiem in D minor” di Mozart, udibile chiaramente nella Sala degli Eroi. Location, fra l’altro, ospitante una raffigurazione semplice, ma scenica, dello storico massacro di Wounded Knee e della Ribellione dei Boxer in Cina. Piccole cose che donano valore e forniscono una sensazione di “realismo”, inserendosi con impensabile naturalezza e senso logico nell’intricata sceneggiatura. Piccole cose che fanno grande BioShock Infinite.

Arte narrativa

Oltre alle tante sottotrame riguardanti gli argomenti sopracitati, in primo piano vi è una storia che si concentra sulla vita dei due protagonisti: il rude Booker e la graziosissima Elizabeth, portatrice di un potere che le consente di aprire varchi verso altre realtà. Mentre si instaura un rapporto con la giovane ragazza, presentata divinamente e verso cui non si può che provare un affetto immediato, la trama si concede poco a poco, svelandosi con parsimonia e disseminando indizi perlopiù comprensibili solo a “un secondo giro”. Ogni buon sceneggiatore e scrittore sa bene che, visto che tutto è già stato raccontato, è il modo in cui lo si fa a renderlo davvero unico. Per questo, si può dire che il canovaccio in se e per se non appare originale o particolarmente innovativo, ma risulta allestito con una tale maestria da lasciare sinceramente di stucco. Tanti sono i dubbi e le domande, eppure, alla fine, è sorprendente come praticamente ogni cosa riesca a incastrarsi quasi alla perfezione. Qualche piccolissima macchia è forse presente, ma con la possibilità interpretativa offerta dall’impalcatura della sceneggiatura si è in grado di trovare una collocazione sensata anche all’elemento meno convincente. Incredibile, considerando la difficoltà di approcciarsi al tema portante della storyline: quello della fisica quantistica, della teoria delle stringhe, dei multiversi, degli squarci spazio-temporali. In questi casi, il pericolo di realizzare un groviglio incoerente e disseminato di errori è sempre dietro l’angolo. Ken Levine, però, ce l’ha fatta. Ha sfruttato un’idea oltremodo affascinante e ci ha costruito attorno un plot tanto ingarbugliato quanto travolgente. L’epilogo di BioShock Infinite sarà ricordato a lungo come uno dei più belli mai apparsi in un videogioco (e forse non solo). Ed è proprio il finale a rivalutare l’intera esperienza, a renderla eccezionale, a mettere in discussione ogni frammento del viaggio. Fino all’ultimo si rimane nell’ignoranza, si può intuire, ma non si può essere preparati alle rivelazioni riservate agli ultimi quindici minuti di giocato. È come una bomba improvvisa. Un’esplosione di stile.

L’epilogo è strutturato in una maniera talmente sopraffina da portare il fruitore nello stesso stato di Booker DeWitt: indefinito, confusionale, incredulo. Si rimane letteralmente a bocca aperta. Come scordarsi, per esempio, della scioccante verità sul dito di Elizabeth? La storia di Infinite diviene così impalpabile, irrazionale, ed è necessario eseguire uno sforzo di immaginazione notevole per ricomporre l’intero puzzle. La storia vissuta ne è solo un tassello. Il finale costringe a ragionare su ogni minimo particolare, nel tentativo di giungere a una “soluzione”, ricostruendo per intero la vicenda in un esercizio che può occupare giorni e giorni di attenta analisi. Storie dentro storie che si intrecciano creando un mosaico che si scontra con la percezione umana, con le leggi dello spazio e del tempo secondo il comune modo di pensare.

Continuare di questo passo, rischiando di rivelare qualche retroscena, sarebbe fare un torto immane a chi non avesse ancora avuto modo di provare tale esperienza e ne fosse incuriosito. Ed è per questo che non sarebbe giusto entrare nel dettaglio. Giocatori o non-giocatori, il finale visionario di BioShock Infinite non può lasciare indifferenti. Certo è che bisogna essere predisposti verso un tale modo di raccontare una storia. Chi predilige trame semplici, lineari, chiare e concludenti, forse troverà Infinite solamente confusionario e sconclusionato (e in questo senso la chicca dopo i titoli di coda non può che gettare benzina sul fuoco). Un altro aspetto da non sottovalutare, poi, è che per comprendere la magnificenza narrativa dell’opera targata Irrational Games, va messo in moto il cervello. Senza alcuna vena provocatoria, abituati ormai alla “pappina pronta”, si tratta di un presupposto non per tutti.

Fatevi un favore: giocate BioShock Infinite

Comunque la si voglia mettere, alla fine non si può negare il valore intrinseco di un’opera quale è BioShock Infinite. Più che la parte ludica (gradevole, ma non eccelsa), a colpire è una qualità artistica e narrativa ben sopra la media. Per una volta, a farsi ricordare non è la violenza delle uccisioni o la spettacolarità di quella o quell’altra sparatoria, ma è la bellezza di un paesaggio, una città, che ostenta a ogni passo la sua magnificenza architettonica, è la traccia musicale che accompagna l’azione, è la maturità dei dialoghi e delle tematiche trattate, è lo stupore nel scoprire quei particolari all’apparenza insignificanti, è l’entusiasmo di una Elizabeth danzante sulla spiaggia che ha il sogno di vedere Parigi. Ma soprattutto: è il turbinio di emozioni trasmesse da una trama superba, contraddistinta da un epilogo onirico, spiazzante e dannatamente geniale, che continua a vivere con insistenza anche a gioco spento, nella mente…

BioShock Infinite è un videogioco uscito il 26 marzo 2013 per PlayStation 3, Xbox 360 e PC, ormai disponibile a basso prezzo nei negozi di elettronica e nei punti vendita online

Frasi

“Portaci la ragazza e annulla il debito”

“La Mente del soggetto si sforzerà disperatamente di creare ricordi dove non ce ne sono… “

“Il seme del profeta siederà sul trono e ricoprirà di fiamme le montagne dell’uomo”

“Qual è la creatura più ammirabile sulla Terra di Dio? E’ l’ape!
Avete mai visto un’ape in vacanza?
Avete mai visto un’ape prendersi un giorno di malattia?
Beh. Amici miei, la risposta è no!
Così vi dico: siate api! SIATE API!”

“Ma lei cos’è? Viva o morta?”
“Perché chiedi cosa?” ” Quando la domanda è quando?”
“L’unica differenza tra passato e presente…” “… è la semantica”
“Vive, visse, vivrà” “Muore, mori, morirà”
“Se percepissimo il tempo com’è realmente…” “Che ragione avrebbero i professori di grammatica per alzarsi?”
“Come tutti noi, Lady Comstock esiste attraverso il tempo” “… E’ sia viva che morta”
“Percepisce di essere entrambe…” “Trova questa condizione… sgradevole”
“Percepire senza comprendere…” “… E’ una combinazione pericolosa”

“C’è sempre un faro, c’è sempre un uomo, c’è sempre una città”

 

 

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